Last Call: il film che racconta “The Limits to Growth” e il contributo di Aurelio Peccei alla consapevolezza ambientale

La sostenibilità è una delle più pressanti sfide per l’intero pianeta. Da un prospettiva teorica, essa è riferibile all’ascesa della rilevanza dei temi ambientali all’interno dell’area principale delle politiche, che sono primariamente economiche. In particolare, fu l’individuazione del concetto di”carrying capacity” dell’ecosistema che fece emergere l’idea che una crescita economica sostenuta avrebbe (lo stava già facendo in realtà) consumato più risorse naturali di quante, naturalmente, la terra fosse in grado di rinnovarne. Questo avrebbe causato dei problemi, ahinoi oggi irrisolvibili in maniera “ordinata”, allorquando il limite della capacità di carico dell’ecosistema fosse stato superato. Overshoot!
Secondo lo studio proposto nel 1972 da Meadows, D. H., Meadows, D. L., Randers, J., & Behrens, W. W. in the famous book The Limits to growth; a report for the Club of Rome’s project on the predicament of mankind, questo limite sarebbe stato ampiamente superato nei decenni a seguire, se la popolazione mondiale avesse continuato a crescere in maniera esponenziale. In questo senso, lo studio lasciava spazio a poche e non rosee opzioni, tra cui tentare di frenare, di ritardare, il collasso dell’ecosistema, limitando la crescita economica e puntando alle sostenibilità in ogni azione e iniziativa umana, guardando però all’intero globo. Ciò avrebbe richiesto tra 50 e 100 anni di sforzi per compiere una transizione ordinata. Inoltre, ogni anno di ritardo, di stallo, avrebbe avuto un peso enorme, potendo quasi compromettere la riuscita di tale transizione.

Ben 30 anni prima che Greta Thumberg nascesse, nonché 1 anno prima di essere probabilmente nei pensieri dei suoi genitori, il Club of Rome, presieduto da Aurelio Peccei commissionò a Jay Forrester, fondatore della metodologia e alla guida del laboratorio di System Dynamics presso il MIT (Cambridge, MA: USA), di realizzare lo studio. Come racconta lo stesso Jay Forrester, in una sessione dei suoi seminari per PhD candidate al MIT, l’occasione di proporsi per realizzare lo studio fu “fortuita”. Peccei era alla ricerca di una metodologia in grado di affrontare in chiave dinamica i problemi di sostenibilità della crescita economica. I soldi c’erano, ma mancava il metodo, e senza quello la Volkswagen avrebbe probabilmente ritirato il finanziamento. Jay Forrester e la System Dynamics, insieme a Dennis Meadows, poi a capo del progetto, offrirono a Peccei e al Club of Rome ció che a loro serviva: un approccio efficace e un team multidisciplinare composto da 17 ricercatori la cui età media era di 26,5 anni.

Ad Aurelio Peccei si deve il merito di aver insistito su uno dei concetti fondamentale per gli studi sul futuro (molto in voga in quell’epoca), ossia la necessità di guardare a queste sfide con un’impostazione globale.

Scopo dello studio era quello di comprendere i limiti che il sistema/pianeta pone alla popolazione e alle sue attività e di identificare gli elementi dominanti, nonché analizzare gli le loro interazioni in modo da comprenderne l’impatto sulle dinamiche di lungo termine del sistema.

La figura di sintesi dello studio

Il grafico qui su riportato è il prodotto del modello di simulazione impiegato nello studio, di cui ho sviluppato una semplificazione nella figura che segue. I risultati della simulazione a scenario base indicarono che al crescere della popolazione e della produzione industriale l’adeguatezza delle risorse decresce. Sostenere quindi un ritmo di crescita consistente ha implicazioni ben più gravi per le risorse naturali. Infatti, dopo qualche decennio di crescita economica sostenuta, intesa come sviluppo esponenziale della produzione industriale e della popolazione, l’adeguatezza delle risorse sarà sempre più bassa e il consumo di risorse sarà sempre di più sino ad essere maggiore della capacità di rinnovo delle stesse da parte dell’ecosistema. In questo senso, la continua crescita della popolazione, della produzione industriale, nonché l’aumento dell’inquinamento determineranno una pressione sull’ecosistema che sarà inostenibile, oltre la soglia della c.d. carrying capacity. Superato tale limite, le risorse disponibili inizieranno un graduale processo di degrado, compromettendo la capacità dell’ecosistema di rigenerarsi, aggravando ulteriormente una situazione già insostenibile. In tale scenario di risorse scarse, la ormai elevata popolazione e la richiesta di produzione farà in modo che la disponibilità di cibo e di risorse sia molto rarefatta, facendo così collassare prima la produzione industriale e poi la popolazione. A questo punto, anche frenando la crescita economica il livello di risorse sarà così scarso che non saranno adeguate a sostenere la popolazione in vita. Lo scenario che emerge è davvero preoccupante.

Sotto il cofano di questo studio vi è il modello World3 sviluppato da Jay Forrester e descritto nel libro World Dynamics. Ho ricreato in maniera semplificata un modello di System Dynamics in grado di cogliere i due andamenti essenziali al centro dello studio: gli effetti della crescita economica sullo sviluppo della popolazione e l’impatto che questa ha sulla carrying capacity, intesa come capacità di carico dell’ecosistema. Dalla dimensione della carrying capacity dipende la disponibilità di risorse naturali soggette ad erosione e consumo nel tempo. Non dimentichiamo che la capacità di rinnovo delle risorse naturali è un parametro su cui l’uomo ha poca capacità di agire, può solo agire sul flusso di erosione con politiche e iniziative che siano “sostenibili”.

Il meccanismo di crescita che coinvolge la popolazione è esponenziale poiché i settori produttivi sono organizzati secondo tale struttura. Dall’altro lato la crescita dello stock di popolazione ha un impatto sull’ecosistema erodendo le disponibilità delle risorse naturali, tra cui: consumo di suolo, inquinamento marino, estinzione della fauna, inquinamento atmosferico, deforestazione, consumo delle fonti energetiche non rinnovabili. La dimensione della popolazione se rapportata alla carrying capacity all’interno della variabile Pressure on the Environment, misura il carico effettivo sull’ecosistema.

Pressure on the Environment = Population/Carryng_capacity

Tale pressione ha un effetto sulla capacità di crescita del sistema stesso, in ragione della adeguatezza delle risorse rispetto alla popolazione esistente. Come a dire se ci sono risorse qualunque popolazione si moltiplica. Infatti, quando tale rapporto diventa superiore all’unità, ossia quando la dimensione della popolazione è più elevata di quella che le risorse sono effettivamente in grado di supportare, la crescita esponenziale è condannata a collassare su stessa (si veda il grafico piú avanti).

Il cuore del modello di System Dynamics alla base dello studio: elaborazione propria

Quando la pressione sull’ecosistema è tale da diventare insostenibile essa determina un limite alla crescita oltre il quale non è possibile andare, se non a rischio del futuro del pianeta. Tuttavia gli effetti di lungo periodo che la crescita economica ha sull’ecosistema si manifestano anche con ritardo, quindi l’erosione dell’ecosistema avverrà gradualmente e nel lungo periodo. In questo modo la pressione sull’ecosistema aumenterà anche a crescita zero, poiché gli effetti della crescita passata si manifesteranno ancora per un bel po’. Da un punto di vista algebrico, si traduce in una riduzione del denominatore del rapporto, determinando un cambiamento nella dominanza del processo di crescita: da una crescita esponenziale si passerà ad una decrescita esponenziale, ossia un collasso! Il modello che ho sviluppato illustra questi semplici risultati.

I risultati della simulazione

Come è possibile notare dalla simulazione, quando la pressione sull’ecosistema (linea nera) si apresta a raggiunge il suo picco massimo (uguale a 1), poco dopo 30 anni di simulazione, la popolazione (linea blu) inizia a diminuire, accelerando nel suo percorso di declino. Allo stesso modo, la carrying capacity (linea verde) subisce un processo di decadimento dovuto all’erosione delle risorse naturali (linea rossa), come conseguenza dell’inquinamento e del consumo di risorse da parte della popolazione.

Le politiche che potrebbero invertire questo scenario di distruzione dell’ecosistema e di conseguenza anche della popolazione sono riconducibili a due principali categorie: una di tipo individuale, ossia orientata a comportamenti responsabili e sostenibili nello svolgimento delle attività quotidiane e vanno dall’alimentazione (es. riduzione del consumo di carne) allo spreco di risorse naturali (es. acqua nel lavarsi i denti); una di tipo globale, che racchiude la precedente dal punto di vista degli individui a cui si vanno aggiungere i comportamenti delle organizzazioni (es. imprese) e degli stati (politiche energetiche). L’azione delle due potrebbe portare la collettività globale a riconoscere che la crescita economica non è l’obiettivo definitivo e ad assumere al suo posto la redistribuzione della ricchezza prodotta correntemente e, ancor di più, di quella accumulata. In questo modo è possibile creare i presupposti per un mondo più equo e duraturo, come lumeggiato in The Limits to Growth.

Nel 2013, a 40 anni dalla pubblicazione di tale libro, un regista italiano Enrico Cerasuolo ha documentato la storia ed il lavoro che hanno portato alla pubblicazione di tale ricerca. Il film ha come titolo “Last Call”. Ho visto questo film al cinema nel 2014, durante una rassegna cinematografica a Bergen, in Norvegia, il cui nome senza dubbio era certamente impronunciabile. Mi trovavo a Bergen durante il mio primo anno di PhD in Public Management presso il Department of di Geography at the University of Bergen, dove studiavo e applicavo la System Dynamics a problemi di politiche pubbliche. Avevo letto dei lavori di Jay Forrester e Donella Meadows, ma ricordo che della visione del film mi aveva affascinato la passione degli uomini e delle donne di quell’epoca per la ricerca e per lo studio di quei problemi, putroppo oggi tanto banalizzati. Guardai il film con un po’ di nostalgia per gli anni ’70, come spesso mi accade.

Il film riesce a trasmettere i principali aspetti del lavoro svolto da quei ricercatori, le conclusioni che ne hanno tratto e il dibattito e le polemiche che ne sono seguite. Negli anni scorsi ho cercato in rete il documentario, ma con scarsi risultati. Questa volta invece ho trovato il film liberamente godibile sulla pagina de “Il filo della storia”, un programma (in italiano) che va in onda su RSI LA1, una TV svizzera. Così ho deciso di rivederlo.

Questa la scheda del film (fonte “il filo della storia”, RSI LA 1)

Quarant'anni fa, la pubblicazione di The Limits to Growth ("I limiti allo sviluppo") sconvolse il mondo. Il libro, basato su una ricerca di una squadra di scienziati futurologi del Massachusetts Institute of Technology, era latore di un messaggio oggi più attuale che mai: il pianeta Terra è un sistema limitato e la crescita economica a pieno ritmo è destinata a portare la nostra società e l'ambiente verso il collasso. Il documentario racconta la storia dell'ascesa, caduta e rinascita di uno dei libri ambientalisti più controversi e stimolanti mai pubblicati. Ripercorriamo gli eventi attraverso le storie dei suoi ideatori - Aurelio Peccei e Jay Forrester - e autori - Dennis e Donella Meadows, Jørgen Randers, Bill Behrens - un gruppo di persone molto diverse tra loro, ma unite da un'estrema attenzione alle problematiche ambientali e dalla preoccupazione per il mondo in cui si troveranno a vivere le future generazioni. Il loro messaggio è rimasto inascoltato per quarant'anni. La politica del "mordi e fuggi" utilitaristico, del pensiero a breve termine - che ignora le conseguenze a lungo termine - ha portato a colpevoli ritardi e omissioni, forse già irreparabili nell'arginare la crisi globale che stiamo vivendo e che il libro The Limits to Growth anticipava.
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