Il ruolo della governance territoriale per lo sviluppo di politiche di rigenerazione delle aree interne

Introduzione

Il 4 marzo 2022 Il Sole 24 ore ha pubblicato un ampio reportage sul “finto sviluppo” delle Madonie.

L’analisi proposta nell’articolo a firma di Nino Amadore muove dai risultati di un sondaggio realizzato da “un gruppo di giovani Madoniti” per identificare nelle scarse opportunità di lavoro per i giovani più qualificati il fattore che determina “una decrescita media del 10%” nei comuni del nostro contesto. Sebbene poco chiaramente definito, tale risultato è posto a confronto con il volume di investimenti pubblici che il nostro territorio ha attratto nel corso del tempo per provare a mettere in evidenza la necessità di individuare una prospettiva analitica che metta a fuoco il problema e “curi il malato prima che muoia”. A tale scopo, l’autore utilizza in chiave esplicativa il pensiero di due economisti, per attribuire la “colpa” dello spopolamento alle politiche “sbagliate” o al “contesto esterno cha ha contribuito al fallimento di politiche in teoria corrette”. La ricerca di metodi e approcci per scongiurare tali eventualità per il futuro sorregge – sempre dal punto di vista dell’autore – l’urgenza di una robusta analisi economica del contesto che possa condurre a “valutazioni costi-benefici” finalizzate a comprendere l’utilità di interventi e investimenti pubblici per sostenere lo sviluppo locale. A ciò, infine, viene accostata la necessità di interventi in capitale intellettuale come mezzo a fine per accrescere la produttività e i salari.

A fronte di tale analisi e delle indicazioni metodologiche che l’articolo ha inteso fornire ai policy-maker del territorio ho sentito l’esigenza di intervenire per offrire un’altra possibile chiave di lettura riguardo le cause dello spopolamento delle Madonie al fine di illustrare quale ruolo la governance territoriale possa agire per favorire lo sviluppo di contesti marginali.

A tale scopo, utilizzerò tre concetti principali: primo, la leadership come ingrediente essenziale per promuovere una governance collaborativa a livello inter-istituzionale; secondo, le politiche di rigenerazione come strumento per innescare processi di transizione sociale; e terzo, la misurazione e valutazione della performance delle politiche pubbliche di sviluppo locale come supporto metodologico alla governance del territorio per coglierne l’impatto sul contesto di riferimento in relazione a più ambiti di interesse. Nel resto dello scritto tenterò di integrare questi tre concetti lavorando su diversi piani logici con l’auspicio che a fronte dello sforzo richiesto al lettore queste pagine possano fornire utili indicazioni ai policy-maker a livello locale e offrire un contributo per la comprensione dei fenomeni di declino dell’area interna Madonie.

Il declino della qualità della vita nell’area interna Madonie come fenomeno complesso e dinamico

Prima di sviluppare l’argomento al centro del lavoro, ritengo necessario, in questa sede, descrivere alcuni aspetti che caratterizzano il declino delle Madonie come fenomeno dinamico e complesso. 

La figura 1 mostra l’andamento della popolazione residente nei 18 comuni facenti parte della “Area Interna Madonie” dal 2002 al 2021. Ho scelto questo raggruppamento di comuni in quanto rappresenta la più recente (e tutt’ora in corso di attuazione) iniziativa territoriale protesa a fronteggiare il fenomeno dello spopolamento. Lungo lo stesso arco temporale, il grafico mostra l’andamento di altre due variabili, i.e., saldo naturale e saldo migratorio[1].

Dal 2002 al 2021 la popolazione residente ha subito una continua e progressiva riduzione, passando da 71.689 a 58.864 abitanti, ossia una variazione complessiva in decremento pari a 12.825 persone. A fini di un più ampio confronto nel tempo, può risultare utile ricordare che nel 1983, la popolazione residente nello stesso raggruppamento di comuni ammontava a 80.312 persone (dati ISTAT). Per cui, dal 1983 al 2002 la riduzione è stata del 10,7%, mentre dal 2002 al 2021 del 17,8%. All’interno di quest’ultima variazione, l’anno 2014 denota un punto di svolta in quanto vi è una inversione di segno del saldo naturale, che diventa negativo (i.e., i morti in un anno sono di più dei nati nello stesso anno), e del saldo migratorio, che diventa, invece, positivo (i.e., gli immigrati sono più degli emigrati). Ciononostante, la popolazione residente continua a diminuire in modo più che proporzionale nel tempo, in ragione del sempre più crescente divario tre i nati e i morti in un anno. Tale variazione negativa ha il suo picco (i.e., -3%) nell’anno 2020; a cui va ad aggiungersi – solo in quell’anno – un saldo migratorio negativo (-0,8%) – probabilmente a causa degli effetti della pandemia sui flussi migratori. Ciò determina un ulteriore accelerazione nella riduzione della popolazione residente nel corso degli ultimi anni, i cui effetti sul piano economico non si sono ancora manifestati probabilmente.

Questi dati segnalano tre cose; primo, la popolazione residente è dapprima ridotta dalle emigrazioni e, dopo, del saldo naturale negativo; secondo, le emigrazioni sono per lo più costituite da giovani in età fertile e facenti parte della forza lavoro delle Madonie; e terzo la riduzione della popolazione sottende una riduzione dei nuclei familiari e una distribuzione della popolazione che tende a polarizzarsi verso l’alto, ossia nelle fasce di età più elevate.

Allo spopolamento che è il fenomeno più evidente vanno aggiunti altri aspetti di declino che segnatamente caratterizzano il contesto di marginalità dell’Area Interna Madonie che – senza pretesa di esaustività – intendo raggruppare in sei aspetti. La precaria condizione delle infrastrutture di trasporto e l’assenza di servizi integrati di mobilità da e verso i più grandi centri urbani. Il crescente disequilibrio dell’offerta e dell’integrazione delle funzioni assistenziali ospedaliere e territoriali, anche in considerazione della distanza relativa dai presidi ospedalieri, dei collegamenti disponibili e della distribuzione per classi di età della popolazione residente.  La progressiva riduzione in termini di qualità e ampiezza dei servizi pubblici di base, tra cui educazione, formazione e servizi per le imprese. La sempre più evidente insorgenza di processi geomorfologici che degradano il suolo sia superficialmente che in profondità, accrescendo il rischio di instabilità o di distruzione delle costruzioni che sono localmente presenti e del paesaggio che caratterizza l’ambiente naturale montano. Le crescenti minacce che la diffusione incontrollata di alcune specie animali pone alla biodiversità delle Madonie. Un ultimo aspetto è rappresentato dalla progressiva rincorsa a posizionare diversi paesi delle Madonie come “borghi-resort” per turisti a detrimento degli sforzi finalizzati a creare servizi adatti a porre le basi per un miglioramento della qualità della vita dei residenti.

Sebbene sia condivisibile che esista una relazione di causalità tra scarsità di lavoro qualificato e flussi migratori, ritengo che questa non riesca pienamente a descrivere l’inerziale processo di riduzione della popolazione residente in quanto considera solo alcuni degli aspetti sopra richiamati. Spopolamento, riduzione della natalità, invecchiamento della popolazione, contrazione dell’ampiezza e della qualità dei servizi pubblici, riduzione degli investimenti in infrastrutture, aumento della povertà, incremento del rischio idrogeologico, ascesa della conflittualità politica e abbandono della campagna sono solo alcuni tra gli effetti avversi sempre più evidenti – che si manifestano su orizzonti temporali diversi – e che hanno un impatto sulla qualità della vita nelle aree interne. Ciò di cui, in definitiva, stiamo parlando!In questo contesto, le politiche di coesione al livello europeo, nazionale e locale – per ragioni diverse – hanno spesso adottato un approccio discreto, statico e settoriale, il cui limite principale appare essere collegato al fatto che i territori e le comunità siano visti come oggetto di sviluppo e non come soggetto per lo sviluppo

I limiti della programmazione pubblica di tipo top-down e dell’analisi costi-benefici per fronteggiare problematiche complesse e dinamiche

Già a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, con diversi interventi pubblici – a più livelli – le istituzioni europee e i governi nazionali e regionali si sono posti l’obiettivo di ridurre il divario in termini di svantaggio e arretratezza tra le regioni d’Europa – non solo in alcune zone d’Italia, tra cui ad esempio le otto regioni del Mezzogiorno geografico, ma anche in Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, per fare qualche esempio.

Sebbene tali politiche abbiano consentito il potenziamento di alcune infrastrutture di base – che poi si sono rivelate utili anche a fini di sviluppo economico, primariamente centrato sul turismo di prossimità, o per garantire condizioni di operatività ad alcune aziende (e.g., gas metano e banda larga) o sull’incremento della produttività agricola nelle aree rurali – l’attuazione delle stesse è stata di tipo puntiforme, discontinua e settoriale perché ha promosso una idea di progresso sociale come tentativo di “salto” da una situazione ad un’altra attraverso la rimozione di una condizione di arretratezza su un singolo aspetto, piuttosto che di progressivo miglioramento continuo da una situazione in essere verso una desiderata attraverso azioni pervasive su ambiti trasversali. Infatti, tali politiche hanno lasciato irrisolte molte delle problematiche che influenzano i fattori che hanno determinato una riduzione della qualità della vita nelle aree marginali.

Inoltre, ciò ha determinato l’ingenerarsi degli effetti di tipo culturale e sociale – estesi a tutto il Mezzogiorno d’Italia – che Carlo Trigilia nel 1992 descrisse come “sviluppo senza autonomia”, per sottolineare la ricorsiva e diffusa dipendenza dell’economia e della società nelle regioni del sud Italia dall’investimento pubblico di fonte europea, nazionale o regionale. Più in particolare, tale costrutto descrive come le risorse pubbliche fossero spesso distorte per essere destinate alla soddisfazione di richieste particolari piuttosto che indirizzate ad alimentare i quei beni comuni di un territorio in grado di riqualificare l’ambiente socio-economico. E qui veniamo al punto centrale dell’articolo di Nino Amadore, ossia il “finto sviluppo” delle Madonie la cui inversione richiederebbe “robuste analisi costi-benefici”.

È proprio la necessità di alimentare i beni comuni che richiede un’analisi di tipo culturale, sociale e ambientale del contesto, prima ancora che economica, il cui sviluppo non può essere consegnato a valutazioni costi-benefici, poiché non si tratta di comprendere – in chiave statica – la convenienza a realizzare un determinato progetto i cui effetti positivi e negativi sono predeterminabili in sede di programmazione e suscettibili di essere apprezzati esclusivamente attraverso il modulo monetario. È illusorio fronteggiare la complessità dinamica che caratterizza i contesti sociali con metodologie basate su approcci razionali, salvo poi attribuire la causa del fallimento delle politiche al contesto esterno. Le cause dei problemi sono da ricercare primariamente all’interno dei sistemi che non hanno prodotto i risultati sperati e, a fronte di tali errori, aprire spazi di confronto per individuare opportunità di miglioramento delle strutture di governo del territorio e delle logiche istituzionali che li guidano per accrescere l’attitudine dei decisori a collaborare per disegnare efficaci politiche di sviluppo locale.

La necessità di un approccio sistemico e collaborativo per il disegno di politiche di sviluppo locale

Sviluppo locale significa avviare processi culturali e sociali, prima ancora che economici, che se coerenti dovrebbero condurre al progresso umano e civile delle comunità. A ciò farà seguito l’aspetto economico. La complessità di tali processi può produrre effetti avversi, o controintuitivi, la cui comprensione richiede una prospettiva di analisi più ampia, ossia che tenga conto dell’impatto che le politiche avranno in un arco temporale più lungo e in arene diverse da quelle tradizionalmente presidiate dai decisori politici. Infatti, l’osservazione degli effetti di breve associata all’uso di misure di volume a carattere finanziario sottende una prospettiva ristretta riguardo alla comprensione dell’efficacia delle politiche e appare ancor di più parziale se riferita all’intero esplicarsi della vita all’interno di una comunità. 

Un angolo ottuso che non consente di guardare a come diverse istituzioni possano insieme collaborare per sostenere il disegno di politiche di rigenerazione orientate allo sviluppo della comunità insediata in un luogo e di riflesso del luogo stesso.

A questo proposito desidero fare un esempio che, sebbene non riferibile ad un caso specifico, riflette un tipo di politiche molto in voga nei borghi delle Madonie. Una politica locale che abbia un eccessivo focus sulla promozione delle qualità intrinseche di un territorio come leva per sostenere lo sviluppo turistico può generare dei meccanismi che nel lungo termine potrebbero dare origine ad una divergenza tra comunità e contesto. Provo a spiegare. L’attività di promozione richiede che un luogo risulti “accogliente” come riflesso di servizi per l’ospite e si caratterizzi come “prodotto” da visitare, molto spesso da gustare o, peggio, da consumare. Ciò implica che le comunità che vivono in quel posto debbano accettare delle innovazioni e dei miglioramenti (nuovi servizi e nuove/rinnovate attrazioni per i visitatori) che richiedono investimenti e spese per servizi, in primis da parte del settore pubblico, a detrimento delle risorse disponibili in servizi e iniziative per la comunità residente. In assenza di adeguate organizzazioni e coordinamento tra i diversi attori, continui investimenti e spese si renderanno necessarie per mantenere il “borgo-resort” accogliente e per garantire che l’immagine costruita e comunicata nel tempo resti in linea con il posizionamento di mercato prescelto.

Questo crea dipendenza dello sviluppo economico dal finanziamento pubblico e può generare un rischio di divergenza tra comunità e contesto. In conseguenza dell’osservazione esclusiva di alcune grandezze da parte dei decisori politici, il perseguimento di certe politiche e l’allocazione di risorse per attuarle, lascia sullo sfondo la comunità rurale e urbana che vive nel luogo che però continua ad avere i suoi bisogni. In altri termini, è un processo tacito il cui rischio implicito sta nell’emergere di una “comunità di interessi” a cui si affianca una “comunità del luogo”.

Tra le due comunità non necessariamente vi saranno elementi di aperta contrapposizione; al contrario è abbastanza facile individuare aree di sovrapposizione e di comune interesse – pedonalizzazioni, eventi culturali, arredo urbano, sicurezza, per fare qualche esempio. Tuttavia, nella forma più sintetica, la “comunità del luogo” continuerà ad avere come obiettivo un incremento della qualità della vita in dipendenza di un miglior livello di servizi pubblici per i residenti, come ad esempio servizi alla persona, tutela del patrimonio naturale, servizi educativi, assistenza domiciliare agli anziani, servizi sanitari e trasporti, mentre la seconda sarà interessata ad un incremento della capacità di ospitalità e appeal del luogo, come riflesso di servizi e attrazioni per visitatori esterni, ad esempio partecipazione a fiere, marketing territoriale, servizi informatici e tecnologici a scopo turistico, eventi gastronomici e così via. 

Una differenza di obiettivi che pesa in modo particolare in quei contesti marginali che presentano risorse limitate e budget pubblici con tendenza decrescente e che rischia di essere inconciliabile perché non risolvibile soltanto nellosviluppo economico sotteso ad un incremento del flusso turistico stagionale, ancorché con una flebile tendenza alla destagionalizzazione, in quanto non innesca quei processi culturali e sociali, prima ancora che economici.

In assenza di tentativi atti a mitigare il rischio inerziale di sviluppare divergenze di priorità all’interno della comunità, il rischio ulteriore è che un borgo tenderà a caratterizzarsi sempre più come mero luogo dove delle attività insistono: un luogo ripetitivo, una ambientazione, una scena ricorrente che possa essere vissuta, con gli adattamenti del caso, innumerevoli volte da diversi avventori, e sempre meno come l’insieme di una comunità, la sua storia e il contesto paesaggistico in cui essa è insediata.

Per fronteggiare tali rischi sono necessarie delle politiche protese a rendere armonico un luogo, come spazio urbano e rurale, e delle strategie che mirino a rafforzare la comunità che lo abita e lo rappresenta. In particolare, tali politiche devono essere orientate al miglioramento dei beni comuni – ad esempio ambiente naturale, spazio urbano, patrimonio culturale – e delle risorse locali quali infrastrutture tecnologiche, capacità e qualità dei servizi pubblici, capacità di produzione energetica e smaltimento dei rifiuti e capacità produzione culturale.

Beni comuni e risorse che se messi a valore a mezzo di politiche robuste, ossia basate sul consenso e sulla collaborazione coerente tra pubblico e privato, potranno, a loro volta, contribuire a generare risultati che accresceranno altre risorse necessarie per lo sviluppo della comunità. Ad esempio, un miglioramento della qualità della vita per le persone che vi abitano, dell’immagine del luogo, delle infrastrutture per le aziende potranno attrarre residenti, turisti e consentire l’avvio di nuove imprese, nonché alimentare il capitale sociale del territorio e la fiducia tra cittadini e governanti, come base per invertire il declino della qualità della vita nel nostro contesto.

La governance territoriale come piattaforma per la collaborazione inter-istituzionale e lo sviluppo dell’Area Interna Madonie

L’assenza di fiducia e la debolezza delle forme associative è un fattore fortemente limitante nella via per lo sviluppo socio-economico. Come sottolinea Banfield (1958), nel suo saggio The Moral Basis of a Backward Society, maggiore è il livello di qualità della vita a cui si vuole pervenire, più elevata è la necessità di organizzazione[1]

Nel contesto delle Madonie, tale necessità è riconducibile alla esigenza di collaborazione inter-istituzionale tra i comuni, le imprese, le associazioni di comunità e le altre aziende presenti sul territorio. Se opportunamente agita, la leadership può rappresentare un ingrediente critico per favorire la collaborazione tra i diversi attori. In questo senso, il ruolo dell’agenzia di sviluppo non può essere circoscritto a quello di un centro di spesa primariamente impegnato nello sviluppo di asfittici compiti tecnici, come ricostruito nell’analisi di Nino Amadore su Il sole 24 ore. Tale funzione appare semmai strumentale rispetto ad un ruolo di più ampia portata nel contesto della governance territoriale. E su questo aspetto appare opportuno spendere le ultime pagine di questo scritto.

Un’agenzia di sviluppo locale può rappresentare la piattaforma al cui interno può esplicarsi la governance territoriale, in quanto offre lo spazio per agire il ruolo da facilitatore, per la definizione di programmi e piani condivisi, da mediatore, nel comporre l’insorgere di divergenze e conflitti in sede di programmazione o attuazione, e per operare a mezzo di decisioni non vincolanti a cui i singoli soggetti del territorio possano aderire.

L’esercizio di tali diversi ruoli nel contesto della governance territoriale appare di assoluto rilievo in quanto può assicurare regole comuni, creare fiducia tra i soggetti, ridurre la conflittualità politica, consentire un adeguato coordinamento tra disegno e attuazione delle politiche, e abilitare i diversi soggetti locali a pervenire a risultati che non sarebbero altrimenti raggiungibili.

Agire la leadership territoriale significa creare il terreno di confronto su cui i diversi attori del territorio sono chiamati ad ampliare l’area d’interesse della riflessione intorno allo spopolamento, piuttosto che chiudere i confini dello sviluppo locale dentro “le mura” di ciascun paese. Ciò consentirebbe di includere quegli aspetti di “carattere politico, sociale e culturale”, che venivano evidenziati dai giovani di “Controcanto Madonie” e di individuare obiettivi di lungo termine che siano sfidanti per l’intero contesto territoriale e nei confronti dei quali ciascun soggetto è chiamato a contribuire, al di là delle contingenze politiche.

In questo senso, l’azione della leadership può ridurre la ritrosia dei diversi soggetti a partecipare e a mettere in discussione valori e posizioni consolidate, molto spesso percepite dall’interno come date, ma che in realtà possono essere gradualmente modificate attraverso il confronto. Mettere in discussione certi valori dominante può certamente causare conflitti tra i diversi attori, ma che possono essere ricomposti attraverso il ruolo di mediazione che l’agenzia di sviluppo può esercitare, accrescendo in questo modo la capacità e la legittimità della governance del territorio e scongiurando inconsistenza e frammentarietà nelle iniziative a livello locale. Infine, il ricorso a decisioni non vincolanti può dare impulso e allineare le agende politiche dei diversi comuni su alcuni temi ritenuti di interesse comune.

I processi collaborativi di governance potrebbero così consentire ai diversi attori di comprendere i limiti dell’approccio statico, settoriale e campanilistico per abbracciare una visione sistemica e dinamica dello sviluppo locale delle aree interne come risultato di un processo granulare che scaturisca da iniziative continue e pervasive su variegati ambiti di intervento. Infatti, se osservato da un punto di vista endogeno, lo sviluppo locale presenta sfide socialicomplesse che investono molteplici ambiti tra loro interrelati (e.g., sanità, formazione, imprenditorialità, lavoro, ambiente, innovazione, povertà, energia, risorse idriche, turismo, cittadinanza, cultura, mobilità, inclusione sociale, fiducia nel governo) i cui effetti mutano nel tempo (i.e., breve vs. lungo periodo) e nello spazio (i.e., risultati di tipo sociale vs. economico-finanziario vs. ambientale) e che se non opportunamente comprese e governate indeboliscono le comunità locali e le organizzazioni che operano in tali contesti. 

La misurazione degli effetti di lungo periodo delle politiche pubbliche in relazione a tali ambiti di interesse può alimentare l’attività di valutazione dei risultati della governance territoriale così da favorire logiche di responsabilità politica e gestionale in capo ai decision-maker del territorio, nutrire l’orientamento al miglioramento dei risultati pro-tempore raggiunti, e favorire l’apprendimento dei soggetti così da sviluppare le capacità di governance territoriale. Si tratta di attuare un ruolo da spatial bricoleur orientato a promuovere relazioni multilaterali improntate alla collaborazione per disegnare politiche di lungo termine capaci di far leva su elementi di innovazione e tradizione per innescare un processo di transizione sociale che garantisca l’integrazione tra passato e futuro e possa condurre al progresso umano e civile delle comunità in modo da assicurare continuità di vita. 


[1] Il concetto di organizzazione è qui inteso come “società umane” ossia istituti con cui perseguire degli scopi non attuabili con le risorse di cui ciascuna persona dispone individualmente. All’interno di tali istituzioni, il processo decisionale non scaturisce dalla “razionalità economica” dell’homo economicus, piuttosto è influenzata dalla razionalità limitata dei soggetti a causa delle limitate capacità e facoltà umane di fronte alla complessità dei problemi.


[1]Va segnalato che il valore dal saldo migratorio è derivato dal valore dei comuni facenti parte della provincia di Palermo, in quanto i dati per i comuni considerati non erano consistentemente disponibili sul portale ISTAT per l’arco temporale in questione.

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